Un radioso mattino di primavera, il Vigile Motociclista Amedeo Galetti, in forza al Nucleo Mobile – Servizio Scorte – era intento a lucidare gli stivali tubolari alla cavallerizza, anche se in realtà ci si poteva specchiare. In perfetta uniforme, con una buffetteria candida, e tutti i bottoni dorati luccicanti, quel mattino alle ore 11.00 avrebbe dovuto trovarsi con gli altri componenti della scorta all’Aereoporto di Linate, varco doganale n. 5, per fare la scorta al Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Erano circa le 9 e tutto era a posto, moto lavata e lucidata, pieno di benzina, gomme a posto, divisa perfettamente in ordine, guanti bianchi alla moschettiera con un paio di scorta nuovi di zecca (non si sa mai, quelli indossati avrebbero anche potuto sporcarsi), casco della moto pulito e lucido. In questo preciso momento viene chiamato dal suo compagno fisso di pattuglia Lello Gaviraghi, che gli dice che deve passare in banca per effettuare un pagamento e che dato che l’istituto di credito si trovava lungo il percorso da effettuare per andare all’aeroporto si poteva sbrigare l’incombenza senza perdere tempo e senza creare problemi.
Il Galetti, maniaco della puntualità, diceva che sarebbe stato meglio effettuare subito l’incombenza, così da non trovarsi poi a fare le cose di corsa, vista l’importanza dell’appuntamento a Linate. Partiti da piazza Beccaria a bordo delle Moto Guzzi di servizio, percorrevano le vie cittadine a passo di pattuglia, guardandosi intorno con attenzione, come da abitudine, fino a raggiungere la Cariplo in C.so XXII Marzo angolo via Mameli. A quell’ora, il traffico era ancora molto intenso e un vigile viabilista era posizionato all’incrocio successivo per tagliare la corrente di traffico in direzione centro città, per tenere libero l’incrocio con la via Cadore. Parcheggiate le moto, il Gaviraghi entrava in banca per provvedere al pagamento, mentre l’Amedeo Galetti rimasto accanto alle moto per ascoltare le comunicazioni radio veniva avvicinato da un giovane agente della Polizia di Stato che si trovava li, per presidiare l’incrocio quando sarebbe transitato il corteo con il Presidente della Repubblica. Eravamo all’inizio degli anni “80 ed era il periodo del terrorismo, per cui le misure di sicurezza erano al massimo livello e durante il passaggio del corteo presidenziale tutti gli incroci erano presidiati da agenti in divisa.
Un paio di minuti dopo, l’attenzione del Galetti venne attratta dai numerosi trilli di fischietto del collega viabilista. Guardando nella sua direzione, notava che stava cercando di fermare una autovettura Maggiolino Wolkswagen che procedeva a passo d’uomo, incanalata nella corsia che divideva la marcia normale da quella riservata ai mezzi pubblici. Subito si spostava al centro dell’incrocio facendo cenno al collega che avrebbe provveduto lui a fermare l’autoveicolo. Lasciate passare le vetture che precedevano il Maggiolino, alzava la paletta d’ordinanza invitando il conducente a fermarsi sulla destra. Fu allora che il nostro agente ebbe modo di scorgere l’inquietante volto del conducente, terribile a vedersi tanto da sembrare celato da una maschera di gomma sovrastante un corpo enorme, decisamente un aspetto da “Zombie”.
Tutto accadde in pochi secondi – il Maggiolino, anziché fermarsi accelerava e tamponava un paio di volte l’auto che lo precedeva, il Galetti estraeva l’arma di ordinanza e trotterellando sul lato sinistro del Maggiolino ordinava al conducente di fermarsi, ma questi mantenendo le mani sul volante in posizione 10 e 10, continuava a guardare fisso davanti a se e tamponava per la terza volta il veicolo che lo precedeva, spaventando il conducente che per fuggire saltava il serpentone liberando così cinque o sei metri, visto lo spazio libero il conducente “Zombie” accelerava nuovamente andando a tamponare l’ altro veicolo che lo precedeva.
Superato lo sbigottimento il Galetti si mise a correre di fianco alla macchina e, visti inutili tutti i tentativi di fermare altrimenti la macchina, decideva di usare le maniere forti e, avvicinata la volata dell’arma al pneumatico anteriore sinistro della Wolkswagen esplodeva un paio di colpi. Niente, non succedeva niente. La gomma o meglio le gomme, visto che nel frattempo anche la ruota posteriore sottoposta allo stesso trattamento non facevano una piega. In questo frattempo l’agente della Polizia di Stato aveva a sua volta estratto l’arma d’ordinanza esplodendo a distanza ravvicinata tre colpi nel pneumatico anteriore destro e due in quello posteriore. Nulla ! Gli pneumatici rimanevano gonfi e il Maggiolino proseguiva la marcia. Il Galetti, allora più agile di oggi, notato che il finestrino anteriore sinistro era abbassato, salì sulla pedana dell’auto e si tuffò letteralmente all’interno del veicolo, sgomitando il conducente e riuscendo a togliere le chiavi dal cruscotto e finalmente l’auto si fermò.
In questo preciso momento accadde la fine del mondo: auto e moto di Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza con i dispositivi di emergenza in funzione, gente che correva con le armi in pugno, e un elicottero della Polizia di Stato che si fermava in alto, in volo stazionario, con due tiratori scelti sporti all’esterno che tenevano sotto controllo la situazione puntando fucili automatici.
Due equipaggi delle volanti aprivano lo sportello del Maggiolino e abbrancavano il conducente che, nel frattempo, era sempre fermo al posto di guida con le mani posizionate sul volante e lo sguardo fisso davanti a se e lo strattonavano per estrarlo, fino a quando ci riuscivano lasciando l’uomo mezzo nudo perché i vestiti si erano strappati. Cercavano di ammanettarlo dietro la schiena ma dovevano usare due paia di manette, perché le dimensioni dell’uomo non consentivano di avvicinargli le braccia più di tanto e in questo frattempo si era accesa una viva discussione per che avrebbe dovuto procedere all’arresto tra le varie Forze di Polizia giunte sul posto. Veniva deciso che i primi ad arrivare erano stati i componenti di un equipaggio della Volante della Polizia di Stato e dopo averlo sottoposto ad una perquisizione (che pareva una radiografia tanto era intima) lo caricavano a bordo del loro veicolo di servizio.
Il Galetti veniva avvicinato da Ufficiali Superiori in uniforme e da persone in borghese che gli chiedevano informazioni “sull’attentato al Presidente”. Questi diceva che non c’era nessun attentato e spiegava che cosa era accaduto. Dopo varie telefonate e contatti radio, si riusciva a sapere che l’arrestato non era un terrorista ma un poveraccio che era scappato dalla Guardia Seconda del Policlinico dove era ricoverato perché affetto da gravi problemi psichici.
Anche qui si svolse tutto alla velocità della luce e così come erano arrivati, con stridore di gomme, motori imballati e il vento fortissimo causato dalle pale dell’elicottero che riprendeva quota, scaricato il personaggio dalla Volante della Polizia e recuperate le manette, scomparivano nel nulla lasciando il Galetti con l’incomodo e non disponendo di due paia di manette, ne appose una al polso destro dell’uomo e l’altra al paragambe posteriore della Guzzi 1000 Idroconvert che pesava circa 350 chili.
In tutto non erano passati nemmeno 10 minuti da quando il Gaviraghi era entrato in banca, tanto che lo stesso arrivando in quel momento interrogò il collega sul perché di tutto quel casino. Si aggiunse un alto ufficiale del Corpo che, considerando che non vi era stato alcun attentato al Presidente, sollecitò il Galetti a togliere di mezzo tutto, compresa l’auto che, sorpresa, ospitava insieme a diversi avanzi di cibo, una coppia di galletti amburghesi in avanzato stato di decomposizione che appestavano l’interno dell’auto con un odore nauseabondo. Anche l’auto aveva ormai deciso che le sue gomme si potevano finalmente afflosciare, quel tanto per complicare e rovinare definitivamente la giornata all’Amedeo Galetti.
Lasciato un vigile sul posto, in attesa del “Ragno” per rimuovere la macchina, provvedevano a trasportare il fermato all’Ospedale Policlinico. In tutto questo tempo, il gigante con la faccia completamente cicatrizzata dal fuoco, aveva continuato a guardare fisso davanti a se, senza profferire parola.
Solo all’arrivo del medico della Psichiatria, una dottoressa piccola e minuta, l’uomo iniziò a parlare e con un vocione cavernoso che gli si addiceva perfettamente, raccontò di essere stato costretto a comportarsi cosi in quanto facente parte della schiera degli Angeli, tutti gli anni in primavera, i diavoli travestiti da polizia cercano di catturalo per succhiargli la bile e farlo morire, per cui non aveva altra scelta che quella di fuggire.
Grazie a questa avventura conclusasi nel pomeriggio, l’ Amedeo Galetti, non lo vide nemmeno passare il “suo Presidente” e cambiatosi tornò a casa sconsolato ma soddisfatto di avere compiuto il suo dovere.
Gianfranco Peletti