Quando l'Amedeo Galetti oggi la racconta agli amici, la storia è perfino divertente ma quando accadde, a metà degli anni '70, per la verità il protagonista, lo stesso Galetti, non la prese tanto bene.
Andò cosi.
Alle sette di un mattino di aprile, il servizio dei due vigili in Piazzale Dateo, vicino al brefotrofio di Milano, si presentava come il solito turno che da due settimane ormai impegnava la polizia municipale: sostituzione con viabilità manuale del semaforo che si guastava ogni due per tre.
Mentre il vigile Bortolon al centro dell'incrocio attendeva con diligenza alla regolazione del traffico a quell'ora ancora piuttosto rado, il Galetti aveva preso posto sul parterre che separa le due carreggiate di Corso Indipendenza, in attesa della mezz'ora che mancava per il cambio da dare al collega.
Stava giusto facendo due calcoli a mente su quanto avrebbe portato a casa con gli straordinari quel mese, ragionamento che lo impegnava almeno due volte al giorno, quando si accorse che una fiat millecento, proveniente dalla periferia, stava tranquillamente attraversando l'incrocio incurante del segnale di stop del vigile, in quel momento girato di spalle.
Il Galetti non dormiva e infilatosi in bocca il fischietto sparò un trillo del tipo paralizzante (un tempo i vigili conoscevano l'uso di questo strumento, ormai caduto nell'oblìo) in direzione dell'auto.
Le cose accaddero più velocemente di quanto ci si metta a descriverle: l'auto accostò a sinistra, proprio di fronte al Galetti che, salutando il conducente con la mano alla visiera (altra cosa non più di moda) gli chiese, mentre si toglieva i guanti, cortese ma fermo: - La patente e la carta di circolazione, prego -
Al che il malcapitato automobilista, senza osare alcuna giustificazione, si chinò verso lo sportello del cruscotto alla ricerca del tutto.
Fu in questo frangente che accadde l'incredibile: il Galetti, che già da qualche minuto stazionava in quel preciso luogo proprio sopra il chiusino del tombino, giusto per non sporcarsi le scarpe tra le foglie che coprivano il terreno intorno, si senti improvvisamente mancare la terra sotto i piedi e precipitò, senza avere il tempo di dire bé, nel tombino, fermandosi trattenuto per le ascelle.
L'automobilista, che nel frattempo aveva recuperato i documenti, si girò e non vide più nessuno: ma come, era qui un momento fa.. e aprì lo sportello per scendere.
Il Galetti, in apnea per lo spavento e per lo stupore e poi ancora per l'mbarazzo, se ne stava silenzioso quando si trovò una sportellata in faccia.
Il colore del volto, paonazzo e stava per esplodere, quando lo raggiunse al viso una seconda sportellata, più decisa della precedente.
Il tutto mentre l'inconsapevole conducente si lamentava e allora..... perchè diavolo non ti apri.. maledetta porta -
Un urlo liberatorio salì dalla profondità, o quasi insomma, delle fogne milanesi e tutto ritrovò un senso.
Ci volle tutta l'energia del vigile Bortolon e dell'automobilista per togliere il Galetti dall'incomoda posizione sfilandolo dal tombino, il Galetti che giusto il tempo di tirare il fiato, recuperò l'aplomb che lo distingueva e, rivolto al conducente del millecento, mise mano al blocchetto: - comunque c'è da pagare la contravvenzione.
- Guardi,- rispose il conducente che a stento si tratteneva questa qui gliela pago volentieri perché, non si offenda né, ma l'è stada una robba propri de rid, roba de pisas adoss... (una cosa da scompisciarsi per le risate) -
Da lontano, mentre si allontanava con la sua auto, lo si vedeva ancora che scuoteva il capo.
Giuseppe Cordini